...su Tenore
Dal 1998, l’Associazione Culturale Folkloristica Coro
"Grazia Deledda", si arricchisce della sezione "Canto a Tenore", nell'intento di
proporre l'antico canto dei pastori barbaricini, nella sua espressione dello
stile "a sa nugoresa".
Il lavoro di ricerca, compiuto a Nuoro presso gli anziani cantadores, depositari
della cultura e della storia di questo arcaico canto, ha consentito di riportare
all'attenzione della gente, un repertorio di canti popolari da troppo tempo
dimenticati e una "moda" unica che oggi, nel rispetto della tradizione nuorese,
si è guadagnato un posto importante nel vasto panorama del Canto a Tenore
barbaricino.
Quest'opera di riscoperta e valorizzazione, è stata possibile grazie alla
volontà dei responsabili della nuova sezione che, unendo alla passione per il
canto "gutturale", delle straordinarie doti naturali nell'esecuzione della
difficile tecnica vocale, si sono esibiti con successo di pubblico e
apprezzamento degli esperti, a Nuoro e in Sardegna, e nelle manifestazioni di
canto etnico alle quali hanno preso parte in Italia e all'estero.
Oggi il Tenore "Grazia Deledda" canta le antiche melodie della terra di Barbagia
nelle più belle rime dei poeti del passato, quali Antioco Casula "Montanaru",
Peppino Mereu, Melchiorre Murenu, Padre Luca Cubeddu, Canonico Antonio Giuseppe
Solinas, Pasquale Dessanay, e del presente, quali Franzischinu Satta, don
Salvatorangelo Chessa, Leonardo Berria.
Dal punto di vista tecnico, il Tenore Grazia Deledda, è caratterizzato da: “su bassu” potente ma non cupo, “sa contra” aperta, “sa mesu boche” tipicamente
nugoresa e “sa boche” melodiosa.
Questi elementi fanno sì che l'insieme vocale sia definito dagli intenditori con
l'espressione: ”su tenore est cussertu”, ossia il tenore è ben composto, una
frase che nell'ambiente dei tenores, rappresenta un elogio e un complimento, che
la critica più esigente riserva poche volte a chi bene ha cantato.
Nel febbraio-marzo 2000, il tenore ha raccolto le esperienze maturate nel lavoro
discografico (cd) dell’Associazione dal titolo “Intro su Coro”, accanto alle
melodie del Coro. I due brani, di particolare suggestione, sono “a boche seria”
"Non ti vincat sa tristura" (poesia di don Salvatorangelo Chessa) e “a boche ‘e
ballu“ "Si cheres bennere ajò" (brano della tradizione orale trascritto da
Grazia Deledda).
Gli interpreti sono Salvatore (Tore) Cicalò “sa boche”, Antonello Ganadu “sa
mesu boche”, Francesco Cocco “sa contra” e Sebastiano (Bastiano) Luche “su bassu”.
Per gli studiosi e appassionati del tenore, questa espressione di canto dalle
origini remote, rappresenta ancora oggi un terreno fertile di ricerca e
confronto, nel rispetto della tradizione e fuori dalle regole del folklore
commerciale tanto di moda in Sardegna.
Passano i secoli, ma il Tenore resta ancora la vera anima del canto barbaricino.
A Medas Annos
Su Tenore "Grazia Deledda"IL CANTO A TENORE: CENNI STORICI
Il canto a Tenore ha origini remote, viene da molto lontano, forse neppure noi
sappiamo da dove. Non ci sono documenti storici che attestano l'esistenza di
studi sull'argomento.
Negli anni 60, un gruppo di ricercatori, venne in Barbagia per provare a dare
risposta alle tante domande, e così furono elaborate diverse teorie
antropologiche che prendevano in considerazione i luoghi, il popolo, le
situazioni economiche, sociali e culturali di quell'area geografica ben
definita, dove da tempo immemorabile si canta a Tenore.
Negli ultimi decenni, grazie alla passione di qualche studioso locale (Andrea
Deplano) e alla intraprendenza delle tante formazioni canore, questa forma
arcaica di canto, che non ha eguali al mondo, comincia ad uscire dai propri
confini naturali, attirando su di sé gli interessi di un pubblico sempre più
vasto.
Le Università, gli Enti Pubblici, le varie associazioni culturali, dedicano
all'argomento Tenore giornate di studio e manifestazioni, che hanno come scopo
quello di dimostrare la peculiarità dell'antica espressione canora di tradizione
orale, strettamente connessa con l'ambiente agro-pastorale dove trova la sua
origine.
Tra le teorie più accreditate sul canto a Tenore, una delle più suggestive è
quella che vorrebbe il canto come culto naturalistico, nato ad imitazione dei
suoni della natura.
Nelle solitudini infinite della campagna, l'antico "cantadore" riproduceva con
la voce il suono del vento, del ruscello, oppure il verso del bue, dell'agnello,
o il grido dell'aquila reale.
Per guardare a tempi a noi più vicini, si può affermare che quando il pastore
tornava in paese il giorno della festa, dopo lunghi periodi trascorsi all'ovile,
ritrovava i vecchi amici e con loro cantava i sentimenti d'amore alla fidanzata,
i mottetti d'allegria, l'infinito "ballu tundu".
Di certo c'è che il canto a Tenore, espressione artistica che è diventata famosa
nel mondo, è il canto dell'anima, è canto di gioia e di tristezza che racconta
storie d’amicizia e qualche volta d'odio, storie di passione e d'amore.
E' bello pensare che nell'interminabile assedio di Ilio, i soldati greci
accampati sulla spiaggia con le loro navi, ormai stanchi della sanguinosa
battaglia, si abbandonassero al canto.
Il loro pensiero andava ai figli e alle mogli amorose e, nella descrizione che
Omero fa di quei momenti, sembra di riascoltare il nostro canto a Tenore.
Il canto a Tenore è ancora oggi un mistero.
La più bella definizione che su di esso sia stata data, non viene dai professori
delle università, ma ancora una volta dal popolo, da un poeta sardo, che
rispondendo ad una lettera di un amico, che gli domandava cosa fosse il canto a
Tenore, disse queste parole: "non so da dove venga, forse è la nostra più grande
nostalgia".
A noi oggi il compito, di trasmettere un po' di quella lontana nostalgia, alle
generazioni che verranno. |