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...il costume maschile Nuorese

Tra le prerogative dell’Associazione Culturale Coro Grazia Deledda vi è una particolare attenzione per l’abbigliamento da utilizzare nelle diverse manifestazioni. L’utilizzo corretto del costume nuorese completo di tutte le diverse parti è molto sentito, al fine non solo di esibire ma di tramandare la tradizione. E’ stato fatto un accurato lavoro di ricerca, al fine di contrastare il sempre maggiore “impoverimento” che il costume sardo, e nuorese in particolare, ha subito nel corso dei decenni. Di seguito presentiamo un’accurata descrizione dei diversi pezzi che compongono il costume maschile:

“sa berritta”

Il copricapo – “sa berritta” – andare a capo coperto era una prerogativa dei nostri avi; tutta l’iconografia conferma la consuetudine dei sardi di coprirsi accuratamente la testa. Nel 1932 Elio Vittorini, nel corso di una visita a Nuoro, osserva che: “certi uomini, con quegli occhi da lupo e quella barba, si sono avvolta una sciarpa intorno al capo prima di calzare la berretta fenicia. Come avessero il mal di denti. O come sentissero uno strano bisogno di tenere la testa al caldo, chiusa ed oscura, in una fisica intimità”. Più probabilmente quegli uomini portavano i capelli lunghi, com’era consuetudine prima che la “moda sabauda” suggerisse ed imponesse il contrario, e quindi avevano bisogno di raccoglierli per poter indossare sa berritta. Questo copricapo è sopravvissuto a lungo anche in insiemi tradizionali per il resto contaminati dalla moda ottocentesca. Il termine “fenicio” utilizzato dal Vittorini ci ricorda che questo modello era diffuso non solo in Sardegna ma in una vasta area del Mediterraneo, ovviamente con diverse varianti. Sa berritta utilizzata a Nuoro è confezionata in panno, ha forma allungata a tubo ed è di colore nero. L’estremità è chiusa e stondata; solitamente è lunga 120-140 cm e viene indossata infilandone una metà dentro l’altra (oggi è chiamata “doppia”), ottenendo così un “sacco” lungo circa 60-70 cm, il cui diametro varia in relazione alla circonferenza del cranio. Si può portare all’indietro, poggiata su una spalla oppure ripiegata due o tre volte sulla testa. E’ molto probabile che in passato il portamento variasse a seconda delle situazioni o dello stato civile.

“su ghentone”

La camicia – “su ghentone” – la camicia maschile è nata come indumento intimo, trasformandosi poi in indumento esterno. I capi destinati all’uso giornaliero erano realizzati con tele piuttosto resistenti di cotone o di lino; per i capi festivi si impiegavano invece tele di maggior pregio. Gli ornati nei pezzi d’uso giornaliero sono molto semplici mentre per quello festivo sono presenti ricami ricercati e preziosi. L’ornamento riguarda il collo ed i polsi, essendo le parti messe maggiormente in risalto. Su ghentone ha grande ampiezza ed è completamente aperta anteriormente. Il colletto è basso, diritto, con occhielli trasversali che consentono l’inserimento dei bottomi gemelli d’argento o d’oro. Stesse caratteristiche per i polsini, che però chiudono con un semplice bottome o con un filo.I ricami sono realizzati con filati in bianco o, più raramente di colore rosso o nero. La camicia è molto simile agli esemplari usati in Italia nel XV e nel XVI secolo.

“su zippone”

Il giubbetto – su zippone – è certamente il pezzo più elaborato del costume. E’ realizzato in panno color arancio o rosso chiaro, velluto blu scuro (che invecchiando diventava verdone), con contorni in raso o seta arricchiti da una cucitura di filo azzurro chiaro. Le maniche sono lunghe ed aperte dall’ascella al polso. La lunghezza arriva poco sotto la vita. Si indossa ben chiuso a doppio petto, infilato dentro il calzone d’orbace. La manica presenta delle asole, di numero variabile, che si chiudono con uno o più bottomi. Un tempo si chiudevano anche con bottomi realizzati con le monete. Il petto è interamente rivestito con il velluto, mentre la schiena lascia il panno scoperto a formare un “V”, generalmente molto aperta, con la cucitura centrale in rilievo. Di particolare interesse “su zippone de biudu” (da vedovo), identico nella forma ma con i materiali rigorosamente neri.

“sa chintoria”

La cintura – “sa chintoria” – è un accessorio indispensabile e l’iconografia ne rappresenta un gran numero di modelli. E’ fatta di cuoio di colore naturale o tinto; la lunghezza è proporzionata alla stazza del proprietario e si regola con lacci di cuoio, “sas currias”, passanti attraverso appositi forellini. Spesso la parte anteriore è intarsiata e arricchita con ricami di fili di seta policromi a motivi geometrici, su un fondo di raso o di seta. Questa variante, oggi molto diffusa, era in passato prerogativa dei più abbienti e comunque utilizzata per lo più nelle occasioni di festa. Sa chintoria giornaliera era invece generalmente nera o color cuoio, senza particolari lavorazioni. In aggiunta, sovrapposta, si può indossare anche “sa brentera”: si tratta di una cintura recante una tasca, dove si portava il tabacco o la polvere da sparo. Si chiude con una fibbia sul retro.

 

“su gabbanu”

Il cappotto – “su gabbanu” – così lo descrive Alberto La Marmora: “Il colore è sempre nero, non è foderato, né guarnito di stoffa di altro colore”. A questa descrizione si deve aggiungere la presenza del cappuccio, la mancanza di abbottomatura ed il tessuto che è orbace (“su furesi”). “Su gabbanu” oggi conosciuto è in realtà di concezione moderna, probabilmente derivato da modelli militari: si sono aggiunti i bottomi e la fodera, e somiglia ancor più ad un vero cappotto.

“su cappottinu” o “gabbaneddu”

Il cappotto corto – “su cappottinu” o “gabbaneddu” – è realizzato anch’esso in orbace, tagliato come “su gabbanu”, ed arriva fino a “sas ragas” (il pantalone corto d’orbace di cui diremo più avanti). La parte anteriore non viene chiusa e perciò è foderata con un largo bordo di velluto nero, fino all’interno del cappuccio. In corrispondenza dell’avambraccio e intorno alle tasche sono applicate guarnizioni di velluto, bordate con passamanerie e cordoncini. E’ importante rilavare che i vedovi lo indossavano sempre, fuori di casa, con il cappuccio calato sul volto.

“su saccu”

Il mantello – “su saccu” – è formato da due teli d’orbace uniti in senso longitudinale, sovrapposti ad altri due, e poi cuciti tra loro per tutto il perimetro così da formare un grande rettangolo. Su uno dei lati lunghi sono cuciti due grossi ganci, che consentono di fermare l’indumento sul petto o sulla gola a seconda del portamento. Citiamo ancora il La Marmora: “Questa veste, fatta di solito con due teli di furesi nero applicati l’uno sull’altro e cuciti nel senso della lunghezza, è ancora molto comoda per viaggiare a cavallo, quando è un po’ ampia e allora copre il corpo, dietro, fin sotto le reni e, davanti, le cosce e anche le gambe. Non è che una veste per la pioggia e per l’inverno, ma è tanto più utile in quanto tiene poco posto e in viaggio può servire da letto, da coperta e persino da tappeto per mangiare in aperta campagna. Questi sono, per lo meno, i servizi che io ne ho avuti e che il saccu offre ogni giorno ai pastori sardi”. In qualche caso è anche presente il cappuccio. Tutte le fonti concordano sull’origine di questo mantello risalente, se non al nuragico, al periodo romano.

“sas peddes” e “sas peddes lisias”

Le pellicce e le pelli – “sas peddes” e “sas peddes lisias” – gli indumenti in pelle e pelliccia, senza maniche, hanno caratterizzato l’abbigliamento maschile in Sardegna fin dall’antichità, così come in tutte le società agricole e pastorali del Mediterraneo. Ancora oggi si realizzano con pelli e pellicce di pecora, capra, agnello o capretto. Sono generalmente di taglio dritto e di fattura piuttosto semplice; si indossano di solito con il pelo all’esterno ma possono essere indossate anche al contrario. La loro funzione era quella di difendere dal sole, dal vento e dalla pioggia. Una variante molto interessante e di tono più raffinato è realizzata con la pelle di agnellino nero, di forma sagomata. Questo capo rimane completamente aperto nella parte anteriore. Un’altra variante con le stesse caratteristiche di portamento sono “sas peddes lisias”, nelle quali il pelo è completamente assente.

“sas ragas” o “carzones de furesi”

I calzoni corti – “sas ragas” o “carzones de furesi” – sono certamente l’indumento più particolare del costume, quello che ha suscitato il maggiore interesse tra gli studiosi. Sono d’orbace nero, ampi ed arrivano a metà coscia. Il tessuto viene arricciato in minute pieghe all’altezza della vita e si applica ad un cinturino, mentre la falda ricade in pieghe sciolte. L’orlo inferiore è rinforzato con un profilo di panno rosso (nero nella versione vedovile), che lo tiene leggermente rialzato. Lo stesso tessuto è applicato alla striscia centrale che unisce i due lembi del calzone. La particolare forma “scampanata” si ottiene inserendo un tessuto di rinforzo in corrispondenza del bordo inferiore. Non esistono varianti tra il festivo ed il giornaliero, è l’usura del capo a determinare la differenza. “Sas ragas” sono anche dotate di due tasche laterali molto ampie e bordate esternamente con panno nero.

“sos carzones de tela”

I calzoni lunghi – “sos carzones de tela” – sono confezionati in tela di cotone o di lino di colore bianco, molto ampi e si chiudono in vita con un semplice bottome e due nastri. Sono lunghi fino a metà polpaccio e si infilano nelle “mesu carzasa” di cui diremo tra poco.

“sas mesu carzasa”

Le ghette – “sas mesu carzasa” – sono gambaletti d’orbace ben sagomati per seguire la linea della caviglia e del polpaccio, dotati di una parte allungata che copre parzialmente la calzatura. Arriva fino al ginocchio, dove viene fermata da lacci che vengono poi nascosti sotto una piega dell’indumento. La parte che copre la scarpa presenta un sottile bordino di panno rosso (nero nel costume da vedovo) ed una fodera in cotone pesante di colore scuro.

“sos bottinos” o “cusinzos”

Lo scarponcino – “sos bottinos” o “cusinzos” – la calzatura è coperta quasi interamente dalle ghette, ma è bene rilevare che si tratta di scarponcini artigianali allacciati, in pelle naturale scurita per l’uso e l’applicazione di grasso. La suola è generalmente liscia, con tacco medio-alto.

“sos buttones”

I bottomi – “sos buttones” – sono bottomi gemelli in lamina e filigrana d’argento o d’oro e si usano per fermare i colli de “su ghentone” festivo e nuziale, l’unica versione oramai utilizzata. bottomi simili, dotati di catenelle e barrette di sospensione, si utilizzano per chiudere le maniche de “su zippone”.

 

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